lunedì 7 settembre 2009

il dono dell'obliquità

lecce. due passi in centro. la città bianca, nemmeno tanto affollata, si apre fresca. non è la prima volta che ci vengo ma giro distratto, col naso in su tra i vicoli, sbattendo addosso agli altri passanti. faccio come le palline del flipper, scelgo una traiettoria, tiro dritto finché non incontro un ostacolo, ci rimbalzo contro, chiedo scusa imbarazzato e mi rimetto su una nuova traiettoria.
in verità non me ne frega niente della pietra leccese, delle facciate di chiese e palazzi, della mancanza di ortogonalità (non sono neanche sicuro di sapere cosa voglia dire...). mi ingrippa l'idea di poter fare foto a colori, senza colori. cerco quei posti dove luci e ombre si mescolano bene, senza pensare a molto altro, ammatondandomi un po' nel frattempo.

dopo due ore di sponde, mi metto seduto sulle gradinate di sant'irene e mi prendo un po' di minuti per respirare. accanto a me si sistema un omino singolare. è vecchio, direi molto vecchio, sarà alto un metro e mezzo, le gambe sono due stecchi ricoperti da una pelle non più elastica da tempo. indossa un paio di pantaloncini cachi da esploratore d'altri tempi e una camicia bianca misto cotone e acrilico, di quelle comprate al mercato dai cinesi. è quasi completamente calvo, l'abbronzatura eccessiva della pelata è scomposta in un puzzle di tessere, separate da profondi solchi color carne viva, le tracce di una scottatura trascurata. porta dei grossi occhiali quadrati fumé dalla montatura metallica dorata e in mano stringe una di quelle macchinette fotografiche di cartone usa e getta. la tiene con una mano sola, lontana dal viso, come fosse una di quelle compatte digitali che imperversano ovunque. è strano. si gira intorno con uno sguardo indagatore, le sopracciglia bianche e pelosissime, accartocciate sull'attaccatura del naso come un ventaglio semichiuso e quando nota qualcosa che lo colpisca, chissà mai perché, raddrizza il braccio, punta la macchina fotografica e poi fa una cosa insensata, piega la testa da un lato, il più possibile, segue con la macchinetta il movimento del collo e poi scatta tutto storto, senza neanche guardare davvero dentro l'obiettivo.

è la terza volta che lo incrocio. l'ho già visto al duomo e a sant'oronzo e tutte le volte se ne è stato lì a fare la stessa cosa, scegliere dei particolari in base a criteri tutti suoi e poi riprenderli belli storti. stavolta mi sta così vicino che quando lo vedo puntare la macchina per l'ennesima volta, butto un po' indietro la schiena e distrattamente mi piego per trovarmi più o meno alle sue spalle e poter seguire con attenzione tutta l'operazione. sbircio la linea del suo braccio fino alla macchina e guardo dritto in faccia un pezzo della balaustra del balcone che sta puntando, poi, quando piega testa e macchina, faccio lo stesso e quasi assecondo con un piccolo scatto muscolare del collo il click della foto. una volta terminata tutta l'operazione e giratosi, l'omino strano mi trova ancora tutto inarcato alle sue spalle e mi guarda come se il matto fossi io (in effetti anche svariate decine di turisti di passaggio fanno la stessa cosa...). e mo' che mi ha beccato così, non posso certo fare finta di niente, qualche cosa glie la devo pure dire, prima che pensi che gli volevo scippare la macchinetta!
scusate- il voi dalle parti mie con gli anziani è segno di rispetto - stavo guardando cosa riprendevate. vi posso chiedere perché fate le foto tutte storte, il vecchio si sistema meglio sul gradino e si mette a ricaricare la rotella della macchinetta, mentre mi sorride sornione.
vedi, io sono di lecce e siccome non ce li ho i soldi per andarmi a fare le vacanze da un'altra parte, allora me le faccio qui.
sì vabbe' ma questo non mi spiega perché fate le foto con la macchinetta storta, mi fissa per una frazione di secondo, cala lo sguardo alla macchinetta un'altra volta, poi mi guarda in faccia di nuovo, come se stesse per svelarmi chissà quale grande segreto.
il fatto è che io queste pietre le conosco a memoria, tutte. e allora le foto le scatto diverse, perché così mi sembrano dei posti nuovi.
un paio d'ore più tardi, davanti a una cedrata con granita di limone, mi capita di pensare che sì, quel vecchio bislacco mi ha davvero svelato un grande segreto... per fare in modo che la realtà, la propria realtà sia sempre nuova, alle volte può bastare di storcere un po' lo sguardo.
in alternativa, si può sempre venire a lecce.

3 commenti:

mattia ha detto...

non ci credo che è successo realmente.te lo sei inventato

Luigi ha detto...

no... non inventato. liberamente tratto

boccaccino ha detto...

esattamante come le foto, generalmente...