domenica 27 giugno 2010

i soldatini

è da quando sono piccolo che ho un problema con la disciplina.
cioè, io mi sforzo di fare quello che mi chiedono e devo dire che, grazie ad una certa frivolezza di pensiero, oltre che a ridotte capacità critiche, sarei anche portato ad eseguire gli ordini senza discutere. il vero problema, la questione che mi ha reso, nell'ordine, un pessimo scolaro, uno sportivo poco portato per il gioco di squadra, un obiettore senza coscienza, un uomo poco concreto (oh, tutti "complimenti" ricevuti nel corso degli anni... dopo una lunga ed imperseverante carriera di scombinato) è che mi distraggo. sì, mi stanco facilmente e allora cerco stimoli, cado in tentazioni, più per indolenza che per scelta, e mi ritrovo a fare quello che non andrebbe fatto.

la maestra alle elementari me lo diceva sempre, luigi, diceva, devi stare composto, ed io, sì signora maestra, e mi mettevo con la schiena dritta, le piante dei piedi ben posate a terra, i gomiti fuori dal banco, facevo tutto come si deve. sembravo uno di quei manichini a forma di bambino che si vedevano alla standa, quando mi ci portava mamma. ma durava poco. alla fine mi distraevo, sentivo una voce, mi venivano in mente cose da fare e alla schiena, i piedi, all'educazione, alla maestra e tutto il resto proprio non ci pensavo più.

allora la signora italia, la maestra appunto, mi chiamava alla cattedra, si faceva consegnare la mia riga da disegno, una di quelle belle da 60 cm in plastica trasparente, che io immaginavo sempre di avere una spada di cristallo e ci giocavo a decapitare i miei compagni di classe, mi faceva allungare le mani verso di lei con i palmi verso il basso e diceva, prima o poi imparerai la disciplina.

ancora adesso, quando vedo i soldatini, istintivamente mi viene una sorta di prurito alle nocche delle mani.

sabato 19 giugno 2010

una terra chiamata saramago

questa notte ho fatto un sogno. sì, proprio io che non sogno mai, stanotte l'ho fatto. non è successo mentre dormivo e nemmeno mentre ero sveglio, è capitato da un'altra parte, in un paese straniero. un posto dove le cose avvengono solo con una parvenza di realtà, come le ombre riflesse in una caverna, che uno le crede vere se non ha mai visto altro.

lì, nessuno mi conosceva, ovviamente, ed io non conoscevo nessuno. sono passato ovunque del tutto inosservato. è lì che ho capito di essere di un altro posto, io, perché alla fine avrei voluto ringraziare tutti. grazie a quello che mi ha tagliato la strada con la macchina, che neanche si è accorto di me sulle strisce, grazie alla cassiera del supermercato, dove ho comprato qualcosa, che non mi ha salutato con le solite frasi di circostanza, in effetti non mi ha salutato affatto, non ha neanche alzato gli occhi dal cassettino delle monete, grazie ai passanti che mi sono rimbalzati addosso lungo le strade affollate e persino ai poliziotti che mi hanno cercato i documenti, perquisito, arrestato e poi rilasciato per insufficienza di prove e però non mi hanno chiesto né dato spiegazioni. io me lo sarei domandato, senti ma come mai tu non sei tutto nero come noi, una cosa così io avrei voluto saperla. loro invece no.

mi viene di ringraziarvi tutti, grazie, perché non siete gli altri, quelli a cui tengo, quelli che tengono a me, quelli che mi incastrano con le responsabilità, le decisioni, l'amore, le mamme, i figli, le mogli, le amanti, i cani e i gatti, i colleghi, gli amici. niente di tutto questo. grazie, perché posso non ascoltare le vostre ragioni, perché non provo compassione per voi, perché non condivido le vostre sorti, perché non influenzate la mia, grazie perché non siete costruttori di legami, non per me.

certo, quando è arrivata la mattina e il bianco e nero si è sfumato nel solito mondo di colori, ho pensato che non fosse il caso di indugiare oltre su tali argomenti, perché di sicuro tengo famiglia, perché ultimamente forse pure il lavoro, perché non si sa mai l'amore, perché ho preso degli impegni, per fortuna non ho cani e gatti ma non si può mai dire. insomma a tutti questi pensieri qui io, dopotutto, gli voglio bene. è per questo che faccio l'ipocrita e mi sa che non glie lo dico che nel profondo li odio anche un po'.

lunedì 14 giugno 2010

witness journal

è possibile che non interessi particolarmente a nessuno. è probabile che le quattro persone che più o meno regolarmente frequentano questo blog lo abbiano già saputo (visto che per un buon 75% sono membri della mia famiglia o affini). ma sono dieci giorni che non scrivo qui, ho esaurito tutta la scorta di "foto da blog" che avevo messo da parte per i tempi di magra fotografica e poi mi pare anche un po' giusto che di questo evento rimanga traccia qui.

insomma, la rivista mensile di fotogiornalismo on-line, witness journal, questo mese ha pubblicato un po' di scatti dal reportage sul popolo curdo (sì, sempre quelli con cui vi ammorbo da ormai quasi 10 mesi!).

sono soddisfatto, però, se proprio devo dirla tutta, witness, io ti avevo mandato anche altre foto che secondo me erano più significative, un pochino più personali. per carità, grazie per la considerazione ma il fatto è che uno non si accontenta mai...

giovedì 3 giugno 2010

in-differenze

ho letto da qualche parte che i cosiddetti non-luoghi si definiscono come tali poiché al loro interno non avviene la vita, cioè si passa ma non si sta.

dunque, quando siamo in stazione, saliamo o scendiamo dalla metro, quando aspettiamo ai controlli di sicurezza di un aeroporto o, ancor meno catarticamente, spingiamo il carrello della spesa lungo i corridoi di un centro commerciale, in tutti questi momenti siamo delle non-persone.

mi domando allora perché ogni volta io mi incanti a guardare i passanti, perché mi sembrino così umani. comincio a sospettare si tratti del fatto che mi piace un sacco fare la spesa.


mercoledì 2 giugno 2010

berlin eingabe/ausgabe

alla fine, ripensandoci, ho visto una torre, un muro e quattro blocchi di pietra. e la città intorno è bella, placida, opulenta, confortevole, a modo suo romantica. eppure queste poche cose mi hanno fatto davvero impressione.