lunedì 27 aprile 2009

tetris

le cose, le case, gli oggetti, i palazzi si incastrano, si sovrappongono come se non aspettassero altro che addossarsi a perfezione.

ogni elemento costituisce un mattoncino dalla sua forma peculiare, ogni piano è un livello di complessità in più in questa sorta di gioco geometrico di logica e ragionamento.

ma c'è qualcosa che separa nettamente lo sfondo di un videogame da un paesaggio urbano, che altera la composizione e distorce i contorni, fino a renderne impossibile la comprensione, la digestione per linee parallele e successive. si tratta dell'interferenza umana.

deve essere questa sostanziale imprevedibilità a rendere molto più interessante fare foto di edifici piuttosto che di partite a tetris.

sabato 18 aprile 2009

estasi culinarie

leggere, mangiare, fare l'amore e ci aggiungerei anche fotografare.
così sarebbe la mia lista della spesa, se avessi una vita perfetta. non sto qui a fare precisazioni superflue su quale sarebbe l'ordine in cui metterei tali elementi, né mi attarderei nella definizione della loro consistenza all'interno della mia vita reale. non è questo che conta. il punto è che si tratta di qualcosa di sensuale e la sua esperienza, la sua memoria, la sua conoscenza, la sua corrispondenza formano per me una intrecciata fune, impossibile da sciogliere, resistente e poderosa.
una delle cose che mi piace di più è proprio quando capita di perdere il filo, quando non sai bene se stai leggendo di cibo o divorando un libro, quando mangi con gli occhi le morbidezze di una bella ragazza e ti rimane in mente un sapore di vaniglia, quando scattare con la macchina fotografica è un po' come farci l'amore.
alcune di queste cose le ho trovate in estasi culinarie, il primo libro di muriel barbery. è la storia degli ultimi momenti del più grande critico gastronomico di francia che, prima di morire, è alla disperata ricerca del sapore della sua vita. riflessioni ed analisi interiori di un uomo deprecabile.
le descrizioni dei cibi e delle pietanze sono a volte troppo pompose e definitive ma il ricordo dei sapori legati al passato, una visione dissacrante del protagonista e di tutti i suoi supposti punti di riferimento affettivi, che in fondo lui disprezza e dai quali è egualmente ricambiato, la rappresentazione di un'umanità così minuta e difettosa, tutto questo mi ha saziato come avrebbe fatto un piatto di qualcosa di un po' rozzo ma genuino. mi sono divertito, e tutto, tranne forse il finale, è stato insolitamente appetitoso.
una delle cose più scontate nel leggere un libro è quello strano stato di sovrapposizione che si instaura tra il lettore ed il protagonista o uno dei personaggi principali. si finisce per fare il tifo, per augurarsi il bene o il male dei pupazzi di cui si stanno seguendo le sorti. è una delle magie della lettura. con estasi culinarie non succede e però proprio in questo risiede uno dei sui maggiori spunti di originalità.
e poi neanche per un momento sono riuscito ad immaginare che monsieur arthens, il protagonista del libro, potesse avere un aspetto differente da anton ego, il fassiniano critico gastronomico di ratatouille.

venerdì 10 aprile 2009

la grave malattia del pensare

Ogni tanto, incredibilmente, mi ricapita davanti agli occhi questo libretto quasi indecente, che si chiama "papalagi". L'ho letto per la prima volta più di dieci anni fa e mi colpisce sempre come un maglio, per la linearità degli argomenti esposti. Si tratta del resoconto sugli usi e costumi dell'uomo bianco (il papalagi, appunto), fatto da Tuiavii, capo indigeno da un'isola del Pacifico, dopo un suo viaggio in Europa agli inizi del secolo scorso.
Leggete qui...

"C'è da chiedersi se stupido è chi non pensa molto, o chi pensa troppo. Il Papalagi pensa in continuazione.
Spesso vive solo con la testa, mentre tutti i suoi sensi sono profondamente addormentati. Anche se va in giro, parla, mangia e ride. Il pensare, i pensieri, che sono i frutti del pensare, lo tengono prigioniero. È una specie di ubriacatura.
Quando il sole splende bene nel cielo, pensa subito: «Come splende bene!». E sta sempre lì a pensare come splende bene. Ciò è sbagliato. Sbagliatissimo. Folle. Perché quando splende è meglio non pensare affatto, è meglio
distendere le proprie membra alla calda luce e godersi il sole."
E' tutto molto istruttivo e decisamente illuminante ma si può seriamente prendere a modello una popolazione di obesi famosa al mondo solo per le chitarrine in miniatura e le camicie a fiori?
Forse sì...

domenica 5 aprile 2009

a 15 anni la felicità è una barchetta rossa


Deve essere successo nel '91 o '92. In quegli anni lì, non ci andavamo proprio al mare... e chi ce li aveva i soldi?! Così, il fatto di avere un amico con la casa per le vacanze era l'unica possibilità, per me, di fare qualche bagno.

Per la prima volta, a 15 o 16 anni, mi misi in viaggio da solo, in treno. - Luigi. Deve durare poco, che l'ospite è come il pesce, dopo tre giorni puzza! - Mia madre ha sempre avuto la capacità di farmi capire le cose senza spiegarmele veramente.
Comunque, zainetto in spalla, dentro un jeans e tre magliette, poche migliaia di lire in tasca e via. Da Benevento a Foggia, da Foggia a Pescara, da Pescara a Silvi Marina. Non certo una meta esotica ma… che eccitazione! In quel momento mi sentivo come uno che sta attraversando il mondo, quanto meno come uno che sta travalicando i confini del proprio mondo.
La visita doveva durare tre giorni, che riuscii ad estendere a cinque, con la complicità della mamma di Enzo. Fu lei a chiedere il permesso al posto mio e tra madri, si sa, è più difficile dirsi di no.

A Silvi era bello camminare come un corpo estraneo, mimetizzato in questo gruppetto di adolescenti che tutti gli anni si ritrovava d'estate. C'era il mio amico Enzo, sua sorellina, piccolina appiccicosina, tre o quattro ragazzetti e ragazzette, di cui non ricordo bene neanche le facce, e poi c'erano Simone e Daniela. Loro erano fidanzati del mare... cioè erano tutti e due di Roma ma, durante l'inverno, non si vedevano né si sentivano mai. Da almeno tre anni, però, ogni estate stavano insieme, si tenevano per mano, qualche volta si baciavano, qualche altra non si sapeva dove sparissero. Lui era il più ganzo del gruppo: biondino, alto, non faceva altro che dire quante cose fichissime c'aveva a Roma, quante pischelle lo aspettavano al ritorno, ma questo solo quando non c'era Daniela nei paraggi. Lei invece sembrava diversa. Quando mi parlava, mi guardava in faccia e sorrideva, cordiale. Sarà per quegli occhi chiari, chiari, chiari, sarà per il fatto che era alta e abbronzata o per il caschetto castano, fatto di capelli un po' arrostiti dal sole, ma di raccontargli le mie solite cazzate non mi veniva naturale e il più del tempo stavo zitto, mi limitavo solo a rispondere alle sue domande... a monosillabi. Certo, ad essere carina era carina ma io la ragazza ce l'avevo già. E che ragazza! Ne ero innamoratissimo, come forse si può essere solo quando non si sa esattamente cosa voglia dire. E lei anche, Daniela, dopotutto stava con quel simpaticone di Simone.

E’ strano come i giorni al mare passino molto più in fretta, sta di fatto che in un attimo mi ritrovai alla vigilia della mia ripartenza. Era pomeriggio tardi e dopo l'ultimo bagno, durato due ore almeno, me ne stavo seduto su una sdraio, le gambe intrecciate, avvolto in un telo come gli indiani nelle pelli dei bisonti, a cercare di recuperare un po' di temperatura. Guardavo l'Adriatico, piatto e lungo come le sue spiagge, il sole scendeva sornione alle mie spalle. Lungo la linea d'orizzonte una piccola barchetta rossa si incamminava, beccheggiando, verso una serata di pesca. Le reti amatassate a prua, il pescatore incollato alla barra del piccolo timone, con lo sguardo perso nel vuoto, più o meno come il mio. Il freddo mi stava passando ed io mi godevo l'aria umida di sale nelle narici. Ripensandoci, quello fu un raro momento di sospensione, sì, uno di quelli in cui nemmeno un pensiero incrina la perfezione dello specchio delle proprie acque interiori.
- Ti piace il mare?- la presenza inaspettata di Daniela, le gambe raccolte in un abbraccio sulla sdraio accanto alla mia, mi avrebbe fatto trasalire in qualsiasi altra circostanza ma non in quella.
- A chi è che non piace?- il giorno dopo sarei partito, sarei tornato a casa, mi sarei tuffato di nuovo nel mio amore. Non vedevo l'ora.
- Domani, parti?
- Sì, è ora. Sai com'è… L'ospite dopo tre giorni puzza...- Io non so proprio perché dissi una cosa del genere. Me ne vergognai subito e sperai che lei non ci avesse fatto caso. Ma Daniela mi guardava fissa, le sopracciglia inarcate dal divertimento e dallo stupore. Chissà, forse pensava che la frase più lunga che le avessi mai detto sarebbe anche potuta essere migliore di così. Più o meno era quello che pensavo anche io. Ci scappò da ridere.

Il mattino successivo passai in spiaggia per salutare tutti questi brevi amici, prima di avviarmi in stazione. Erano stati giorni strani, interessanti, giorni di vacanza, resi belli soprattutto da un attimo scivolato dolce, fissando una barchetta rossa andare. Mentre mi allontanavo, dopo il commiato, la mente già aveva sbrigato il viaggio come una formalità e cominciavo a pensare a quello che sarebbe stato, a pensare al ritorno.
- Luigi, - una bella voce, quella di Daniela, un'ultima volta mi richiamava - Luigi, tornerai... a trovare Enzo? - Uno sguardo diverso, un sorriso fatto di imbarazzo.
- No, mi sa di no. - Che volete? Avevo 15 anni, una fidanzatina che mi aspettava e, soprattutto, non capivo un cazzo! - No, mi sa di no.
- Peccato. - Quello fu il peccato più languido che abbia mai sentito.
Scappai al treno e, durante il viaggio, solo per un attimo pensai a cosa volesse dire quel saluto caldo. Pensai che mi avrebbe fatto piacere andare ancora da Enzo quel ferragosto, ma questo genere di cose ancora mi attraversavano la testa senza lasciare che brevi tracce, come succede ai bambini, e me ne dimenticai in fretta.
- Lo sai, - mi disse Enzo ammiccante, quando ci ritrovammo a fine estate, - a Daniela avrebbe fatto molto piacere rivederti. Me lo ha detto lei. Peccato non ci sia stata occasione.
Capii allora. - Peccato. - Mi scappò fra i denti e un misto di palpitazione e senso di colpa per i desideri appena provati si strinsero forte all’immagine di una ragazzina con un sorriso bellissimo.

Forse è che uno sceglie a quali ricordi affezionarsi e a quali no. Forse è che le cose che avrebbero potuto essere e non sono state, conservano un patina di fascino difficile da scalfire. Forse è che mi è sempre piaciuto il mare in una maniera indefinita, come a tutti quelli che di mare non sono. Non so di preciso perché, ma ogni tanto rivedo con i sogni una barchetta rossa che se ne va, beccheggiando, a pescare e, con tutte le giustificazioni del caso, mi sento uno stronzo.