mercoledì 16 febbraio 2011

io non posso entrare


deve essere stato quando facevo le scuole elementari. sì. all'epoca ero bambino. sì. checché se ne dica, io le scuole elementari le ho fatte all'età giusta, una sola volta e non sono mai stato bocciato. forse ci sono andato vicino in terza elementare ma il mio non era proprio un ritardo mentale, è che non capivo a pieno quello che facevano gli altri e il più delle volte reagivo male. sì, avevo tutti e due i genitori allora. lo so, può sembrare un'affermazione banale ma di lì a poco ce ne avrei avuto solo uno. in effetti non è che si notò molto la differenza, tanto patemo non c'era mai, però mi sembrò lo stesso una cosa brutta, quando accadde.

un giorno ci vennero a svegliare, a me e mio fratello, e ci dissero che era venuto mio zio e ci avrebbe portato a fare una gita. ve lo potete immaginare che vuol dire quando il primo pensiero al risveglio è stato che devi andare a scuola e la cosa ti fa felice come un condannato che deve andare al patibolo, dico, ve lo immaginate se un secondo dopo vi dicono che la pena è condonata, al patibolo ci si va domani, forse, ma per oggi festa, vacanza, gioia di vivere, cose così? che grande sensazione!

purtroppo però quella volta lì, a metà mattinata, ci dissero che la festa non era una festa ma un funerale. e che cavolo, pensai, con tanti modi per imparare che è sempre meglio andare a scuola, non ne potevano trovare uno meno doloroso? non ci potevano, che ne so, raccontare di pinocchio, lucignolo e le recchie d'asino? che magari faceva un po' paura e un po' faceva riflettere ma alla fine imparavi senza grosse conseguenze. no. si scelse il funerale, si scelse.

quando tornammo a casa, non eravamo di buon umore, si può capire, e non eravamo nemmeno vestiti bene, mi venne da pensare. che colpo vedere tutta quella gente che era arrivata a casa, che non riuscivano nemmeno a entrare, avevano dovuto parcheggiare le macchine fin sullo stradone, lontanissimo. io così tante macchine nella zona nostra ricordo di averle viste solo alla festa di san marco a monterone ma quella era una festa veramente. sì, forse ci saremmo dovuti sistemare un pochino meglio. se ci avessero detto qualcosa, che ne so, bambini vedete che più tardi si sta a lutto, vestitevi scuro, una cosa così. invece niente.

mamma, tutte le volte che veniva anche una semplice coppia di amici di famiglia a farci visita, ci faceva una capa tanta, che dovevamo stare composti, che non ci dovevamo imbruscinare per terra con i vestiti buoni, che se possibile dovevamo evitare di far piangere gli altri bambini o almeno cercare di farlo succedere verso la fine delle visite e non all'inizio, che poi, se no, l'atmosfera si faceva troppo pesante. chissà come stava nervosa mamma che, con mille persone a casa, noi eravamo in tuta e scarpe da ginnastica.

per fortuna si capì subito che si trattava di una cosa per grandi. infatti, a parte me e mio fratello, di bambini non ce n'erano. pensai pure che da qualche parte ci doveva stare mia sorella ma quella era piccola, faceva solo tre cose da quando era nata, dormiva, poppava e cacava e di sicuro stava con mamma a fare questo. un po' mi sarebbe piaciuto a quel punto capirci qualcosa di più, magari vedere la mia mamma che mi sapeva spiegare le cose in modo che io le capivo. chiesi un po' in giro dove potevo trovarla, avrei voluto chiedere a qualcuno che conoscevo, perché mi avevano spiegato che era meglio non parlare con gli sconosciuti, ma in quel cacchio di posto, che poi era casa mia anche se non sembrava, erano tutti sconosciuti, quindi mi misi a chiedere un po' alla rifusa. alla fine qualcuno mi disse che mamma stava sopra che riceveva. che cosa ricevesse non lo capii ma l'importante era che sapessi dove andarla a cercare. così mollai mio fratello vicino al caminetto, che era l'unico punto di riferimento che mi sembrò non fosse cambiato in soggiorno, e mi intrufolai su per le scale, tra la foresta di gambe e pance che mi ostruiva il passaggio.

mi ci volle una traversata di parecchi minuti per arrivare sopra. sì. eppure in condizioni normali ci mettevo meno di due secondi. le scale a casa mia erano divise in due rampe, una lunga, di 21 gradini, e una corta, solo di 5. venendo da sotto la tecnica per affrontarle era la seguente: si prendeva la rincorsa da fuori al portone, che era proprio di fronte alla rampa, e con un solo balzo si atterrava direttamente sul pianerottolo, se non proprio in piedi almeno sulle ginocchia, da lì con una mini rincorsa si poteva anche raggiungere il terzo gradino della seconda rampa ma non conveniva farlo, perché poi ci si inchiommava là e finiva la corsa. no, era meglio saltarne solo due, di lì rimbalzare sul piede per altri due verso la ringhiera dove, aiutandosi con le mani, si poteva sperare di arrivare, con una tecnica da saltatore con l'asta, almeno fino al decimo gradino. poi bisognava per forza farli di corsa, a due a due.

ma quel giorno di prendere la rincorsa non se ne parlava proprio e persino le scale erano strapiene di persone.  mi toccò salire un gradino per volta, evitando per di più di finire schiacciato tra quelli che salivano e quelli che scendevano, tutti comunque lenti come lumache. quando riuscii ad arrivare in cima, stavo finalmente per svoltare a destra, in camera dei miei, quando mi presero per le spalle, addo' vai tu? 'cca è meglio ca non trasi, mi dissero e mi trascinarono via. feci appena in tempo a vedere mia madre seduta su una sedia, con la faccia gialla e un fazzoletto bianco in mano che pareva un asciugamano, tanto era grande, però mia sorella non ce l'aveva lei. vidi pure che c'era qualcuno sdraiato sul letto matrimoniale dei miei genitori, tutto vestito. non riuscii a vederlo bene, nell'infrusteco mi riusci di osservare solo i piedi. portava una paio di scarpe tutte messe a lucido con la cromatina che parevano nuove. poi mi portarono via, nella stanza di fronte, la mia cameretta. lì c'era mio fratello, che non lo so mica come aveva fatto ad arrivarci se lo avevo lasciato poco prima, mezzo in coma per il trambusto, giù vicino al camino, e c'era mia nonna, con la bambina in braccio che non stava mangiando, e dunque o era tranquilla perché dormiva o perché... vabbe'.
a guardarla così paffuta e calma, tra le braccia enormi di mia nonna, mi venne in mente che forse era meglio così, che fosse così piccola intendo, perché a occhio e croce quella giornata lì, noi un pochino più grandicelli ce la saremmo ricordata a lungo.