mercoledì 31 dicembre 2008

vorrei vivere in stazione

vorrei vivere in stazione. perché, se ci vai senza avere una meta precisa, di sicuro ne troverai una. perché puoi passare ore concentrato solo sulle persone intorno a te e non parlare lo stesso con nessuno. perché ogni giorno ci trovi facce familiari e tutte le volte non le vedrai mai più. perché ti innamori ad ogni svolazzo di gonna che cogli e ti emozioni ad ogni addio cui assisti.

vorrei vivere in stazione. per sfatare il mito che lì ci abitano solo i barboni o magari per entrare a far parte della categoria. per permettermi il lusso di infrangere le regole che ritengo stupide. per provare il brivido, ogni tanto, di attraversare sui binari.

vorrei vivere in stazione. per sentirmi parte di qualche cosa che sia più grande di una famiglia, assimilabile a un'idea di società. per avere il bar sotto casa aperto ventiquattro ore su ventiquattro.

vorrei vivere in stazione. perché lo so che lì c'è sempre qualcuno cui chiedere informazioni.

venerdì 26 dicembre 2008

fusi sfusi

non ho recuperato il fuso.
non tanto fisicamente, quanto soprattutto concettualmente. non ho spostato l'orologio, così quando faccio qualche cosa e fuori è giorno e mi capita di guardare l'ora, mi viene subito da sbadigliare perché a casa, in italia, è notte. di contro, se esco e magari faccio tardino, poi mi scopro a pensare che sono ancora in piedi piú o meno all'ora in cui di solito mi sveglio.
in questo modo non sono in grado di dire se le foto prese siano state scattate di giorno o di notte, o meglio se siano state scattate mentre ero lucido oppure mentre sognavo. questo naturalmente senza entrare in giudizi di merito su quale sia, delle due, la condizione più auspicabile.

lunedì 22 dicembre 2008

i cuoricino enneipsilon

vado da starbucks, perché fuori fa davvero un freddo bestia, ho sete e chiedo una coca-cola (con tutte quelle, tutte quelle bollicine) e pedro, l'addetto alla cassa, nero, che mi serve, si fa quattro risate, mi dice che chiedere una cola da starbucks è come chiedere una pizza da mc donald e chiama anche una sua collega, consuelo, nera anche lei, la quale si sganascia e mi dice che è pronta a scommettere che non sono mai entrato prima da starbucks. poi capiscono che sono italiano, si stupiscono che ho lasciato la mancia e vogliono che io gli faccia una foto per ricordo. non lo faccio.
al negozio banana republic seguo mia madre e la mia sister in law (che, se ho capito bene, deve essere mia cognata, visto che tutti chiamano così la moglie di mio fratello) che stanno facendo shopping. mr. sanchez, uno degli addetti alla security, mi si avvicina e mi dice qualche cosa sulla macchina fotografica che porto appesa alla spalla. lui è chiaramente un portoricano obeso e dalla faccia simpatica, io gli prometto che non farò foto all'interno del negozio ma lui mi fa segno che non ho capito niente, voleva solo dirmi che c'ha una macchina fotografica come la mia e vorrebbe sapere come mi trovo con il mega 14-24 mm che ci porto montato sopra. mentre spiego, capisce che sono italiano e si mette a ridere, vuole che ci facciamo una foto insieme, per ricordo. non la faccio.
ordino souvlaki, tsatsiki, e annaffio tutto con un bicchiere di retsina. sono in un ristorante greco. buono. e pure la cameriera, nina, non è niente male. sembra una versione di barbie alta un metro e ottanta, con i capelli nero corvino però. penso che una così non può essere latino-americana, magari è greca. glie lo chiedo. mi dice che ha lontane origini siciliane, di palermo. quasi quasi a lei glie lo dico io che sono italiano, così magari mi sorride e poi vuole farsi una foto insieme ma poi non lo faccio.

vicino casa, sto andando a comprare i broccoli per le orecchiette, il primo vero piatto etnico che mangerò. c'è una chiesa che sembra del 1200 e che invece, con ogni probabilità, la settimana scorsa non l'avevano ancora messa in piedi. la porta è aperta e dentro stanno celebrando. credo sia cattolica ma non me ne frega proprio di approfondire, così giro i tacchi e me ne vado. sulle scale due vecchiette di almeno centotrenta anni ciascuna mi chiedono qualcosa che non capisco. faccio spallucce e vorrei tirare dritto ma loro insistono. sarà perché forse sono morte e non se ne sono accorte, sarà per il freddo glaciale che deve averle surgelate, ma biascicano le parole in una maniera tale che non riesco ad afferrarne nemmeno una. un po' smarrito, sto quasi per sfoderare la mia arma segreta, mo' dico che sono italiano, si fanno una risata pure loro, mi chiedono una foto, io le mando a cagare ed è tutto finito. ma una delle due mi anticipa e per la prima volta mi parla in un inglese comprensibile, anzi dovrei dire in inglese e basta, perché solo ora capisco che prima mi stavano parlando in arabo. dice che mi sta chiedendo da due ore se per caso nella chiesa cattolica di rito libanese dalla quale mi ha appena visto uscire stanno ancora celebrando messa o se è giá finita. vada tranquilla che la messa c'è ancora. si mette sotto braccio l'altra mummia e mentre affronta le scale mi borbotta che dovrei fare qualcosa con le mie origini, che almeno un pochino d'arabo dovrei studiarlo, altrimenti che libanese sono!
mi sembra di aver capito alcune cose: 1) tutti gli inservienti, i camerieri, i commessi sono ispanici, massimo massimo possono essere italiani, che fanno sempre ridere un po'. 2) tolte le comunicazioni di servizio strettamente necessarie, è consentito rivolgere la parola solo a quelli della tua stessa razza, massimo massimo agli italiani, che fanno sempre ridere un po'. 3) se sei italiano, ricorda sempre che il caffè da starbucks fa schifo. 4) è sempre meglio evitare le vecchiette libanesi per strada, per loro non sarai mai un simpatico italiano ma soltanto un libanese maleducato. 5) gli abitanti di new york sono quelli che abitano qui e basta. non è possibile trovare loro una definizione ulteriore. però a tutti loro indistintamente gli italiani fanno lo stesso ilare effetto, che non so se sia proprio un complimento. 6) anche qui i cinesi sono un discorso a parte.

venerdì 19 dicembre 2008

new york, prime impressioni...

ho la sensazione che tutto, ma proprio tutto intorno a me, dalle facce poco magre degli americans, alle sagome dei grattacieli del financial district, sia abbastanza più grande di quanto io riesca a contemplare.
così i pensieri, le sensazioni e persino la vista finiscono con lo smettere di funzionare oltre una certa distanza focale. per sapere cosa vi sia più avanti, cosa si veda più in alto, credo mi toccherà arrivarci.

lunedì 15 dicembre 2008

winter


la differenza che passa tra i vari inverni degli uomini non è solo una questione di latitudine e longitudine.
sto qui e saluto il freddo di una città italiana, mentre sono convinto che quello di una città americana non sarà solo più o meno rigido ma avrà anche odori, sapori e soprattutto sfumature di luce diversi, influenzati dai paesaggi e dalle architetture di vetro, acciaio e cemento.
dopotutto la stagione non è solo una questione di clima.

venerdì 12 dicembre 2008

i poliziotti del quartierino


si sa che non si può stare tranquilli nei posti poco affollati, ma anche quelli pieni di gente mettono in pericolo la sicurezza.
si dice che molti crimini li commettano quei cattivoni degli immigrati ma se poi arrestano dei meridionali quindi camorristi, si tira lo stesso un sospiro di sollievo.
mi viene in mente che però la maggior parte dei reati violenti avviene in famiglia e che la maggior parte dei morti da noi li fa la strada.
ma perché non facciamo che si mette un poliziotto in ogni macchina e uno su ogni motorino? e perché non ne mettiamo uno in ogni casa?
oh, mica c'è da pensare che questa sia una deriva autoritaria, lo facciamo solo per sei mesi, al massimo prorogabili a un anno. certo ci costerebbe un po' in caschi per le moto ma per la nostra incolumità potremmo anche fare lo sforzo.

mercoledì 3 dicembre 2008

insolitudine

sto leggendo "le notti bianche", di fedor dostoevskij. questo romanzetto prende il nome dall'omonimo periodo dell'anno in cui, nella russia settentrionale e particolarmente nella zona di san pietroburgo, il sole tramonta ben oltre le dieci.
ricordo che questa insolita circostanza si ripeteva anche nel nord della scozia, durante il mio erasmus.
passeggiare in città deserte per via dell'ora ma ancora ben illuminate dal riverbero del sole dopo il tramonto, fin quasi alle undici di sera, ti fa sentire sulla luna, in un posto magico dove tutto è possibile. poi fa notte e dopo di nuovo mattino e quel fervore di vita fuori dagli schemi si ritira in spazi di memoria che ci vuole poco a confondere con il sogno. sono momenti sensuali ed inafferrabili.
per capire di cosa sto parlando vi toccherà andare a ridosso del circolo polare artico oppure mettervi a leggere dostoevskij. per ragioni del tutto personali e altrettanto insondabili vi consiglio di fare entrambe le cose. in ogni caso accompagnandovi con qualcosa di forte da bere. per amplificare.