domenica 20 maggio 2012

R.I.P.


Rèquiem aetèrnam,
dona eis, Domine,
et lux perpètua lùceat eis.
Requiéscant in pace.
Amen.

martedì 14 giugno 2011

periplo


non so che ti farei
accarezzerei fin dentro
coi denti i gorghi tuoi
frugherei con gli occhi
e a nuoto andrei
da un morso all'altro
fin dove non si tocca
tra il ventre tuo
e la bocca.

'liberamente tradotto da un poeta arabo anonimo del XVI secolo'

oscurantismo


arrivo in città in anticipo. pacevecchia, un quartiere che non si è mai capito cosa sia. sono qua perché devo fotografare uno dei quattro candidati a sindaco di benevento mentre va a votare. come altri suoi concorrenti, questo candidato qui ha fatto sapere informalmente alla stampa l'orario in cui verrà al seggio e, come tutti gli uomini pubblici di questa città piccola piccola, si sta facendo aspettare. una volta ho letto da qualche parte che la tendenza a comportarsi come 'prime donne' è inversamente proporzionale all'importanza del ruolo pubblico ricoperto. non so se sia sempre così ma, come massima di tipo generale, devo dire che ci prende.

il fatto è che, quando un uomo con una macchina fotografica deve stare in un posto ad aspettare e intorno si muovono persone, allora l'uomo con la macchina fotografica si mette a scattare. e può capitare che si imbatta in un bimbo che spiega al fratellino ancora più piccolo di lui che qualche cattivone ha improvvidamente incollato un manifesto tutto bianco con una orrenda scritta nera messa per traverso proprio sulla faccia di un signore che lì ci aveva già fatto incollare il suo di manifesto.

che facciamo? chiede il più piccolo, telo dico io, risponde l'altro, fai come me. e sotto gli occhi di vigili urbani, carabinieri, presidenti di seggio e scrutatori in pausa sigaretta, rappresentanti di lista assonnati, candidati in incognito, camorristi in missione, semplici cittadini votanti e no, i due teppistelli si mettono a strappare via ampi lembi di quei fogli che il comune appone per oscurare le affissioni abusive.

e io penso che questa sia poesia

sabato 23 aprile 2011

est, est, est!

squilla il telefono, mentre sono immerso nel sonno più profondo. cerco di capire dove mi trovo intanto che mi riverso giù dal letto, gli occhi ancora strizzati, finendo bocconi su un pavimento gelido. lo squillo continua a trapanarmi i timpani, faccio per guardarmi intorno e mi ritrovo in una stanza completamente rivestita in radica di noce, un posto che non mi dice nulla. dalla porta socchiusa entra un fascio di luce bianchissima, deve sembrarmi così per via del fatto che fino a pochi istanti fa ero immerso nel buio compatto del riposo. ma non ho il tempo per ragionarci, perché il telefono continua a tintinnare ferocemente e, come per una sorta di istinto primordiale, come se fosse una campana d'allarme, non si riesce proprio a fare finta di niente, almeno io non ci riesco. dunque mi precipito verso il punto in cui sento suonare, in fondo a un corridoio tutto invaso di luce potente, sbiadito quasi dall'eccesso di bianco. cavolo, nulla del posto in cui mi trovo mi è familiare. ormai, però, sono lanciato verso una stanza che si allarga alla fine del corridoio, al centro della quale si distingue appena un grosso e vecchio divano dall'aspetto polveroso con accanto un tavolino dai tubolari ottonati e il piano in cristallo. lì sopra finalmente vedo il telefono, uno di quelli della sip di colore grigio topo che una volta avevamo più o meno tutti in casa.

arrivo trafelato a prendere la cornetta, pronto, ..., pronto c'è nessuno?, ehm, pronto cercavo claudia, una voce maschile dal tono alquanto perplesso mi dice così, guarda, rispondo, io mi chiamo luigi, e più o meno è tutto quello che gli so dire, visto che al momento non mi ricordo nemmeno dove sono. lui sta in silenzio un tempo imprecisato ma abbastanza lungo e poi mi chiede se ha fatto il numero giusto, scusa ma ho chiamato lo 076131..., io vorrei anche rispondere ma davvero non lo so se quello è il numero giusto e glie lo dico, mi dispiace ma non lo so se questo è il numero che hai chiamato, mi sono appena svegliato e non so neanche che ore sono, non ho ancora capito nemmeno dove mi trovo e non so neppure perché ti sto dicendo tutte queste cose, beh io credo di aver fatto il numero giusto, mi dice lui un po' piccato, è quasi mezzogiorno, claudia è la mia ragazza e nemmeno io so chi sei e cosa ci fai lì!, ah, ecco, io non so che dirti quindi non ti dico niente, ora scusa ma ti saluto, ciao, ciao.

adesso la cosa si sta facendo preoccupante. cerchiamo un attimo di fare mente locale. sono in mutande e maglietta, ho un discreto cerchio alla testa e, a quanto mi dicono, è mezzogiorno e io fino a pochi istanti fa mi trovavo ancora a letto. azzardo un'ipotesi: ieri sera ho bevuto molto da qualche parte e siccome alla fine mi ero combinato una monnezza e non ce la facevo più nemmeno a muovermi, devo essere rimasto a dormire qui, ospite di qualcuno che al momento non riesco proprio a ricordare chi sia. è possibile che si tratti di una ragazza di nome claudia ma non saprei dire altro. mi sa che mi vado a mettere i vestiti addosso, cerco un bagno e poi vedo di capire che cosa mi è successo.

dopo essermi messo con la testa sotto il rubinetto e aver infilato di nuovo i jeans, mi sento pronto ad affrontare quasi tutto. la casa dove sono è sicuramente una di quelle da studenti, con tutta la mobilia vecchia ma, stupore, quando guardo fuori dalla finestra non sono in nessuna città. qua intorno è tutta campagna a perdita d'occhio. c'è un piazzale qui sotto, in cemento, e un cancello si intravede in lontananza, alla fine di un lungo vialetto d'accesso.

faccio un giro fuori e scopro che questa casa, che all'interno è sistemata come una tana per animali universitari, invece all'esterno è né più né meno che una cascina di campagna, un pochino diruta. c'è un'aria fresca e primaverile, l'erba cresce verde e incolta un po' dappertutto ma non è per niente fastidiosa. girato l'angolo della casa mi ritrovo davanti a un porticato sotto al quale una ragazza esageratamente alta e dai capelli dorati sta stendendo il bucato. probabilmente mi ha sentito arrivare, perché si gira e mi saluta. e finalmente ricordo tutto.

io sono luigi, ho 21 anni e sono, almeno formalmente, uno studente universitario. ieri sera sono venuto a casa di giampaolo, l'amico con cui sto preparando l'esame di linguistica generale. simpatico giampaolo, è catanese lui, se lo vedi sembra un impiegato del catasto o il segretario di un notaio, insomma uno che, a vent'anni, già si veste e si atteggia come un pensionato, e poi ti dice che fa il bassista in un gruppo death punk che si chiama endorPHina (oh lui', col PH grande però, che vuol dire tutta un'altra cosa!) e si è modificato il basso elettrico da solo, limandoci i tasti per farsi un fretless artigianale.

ci siamo fermati con la ripetizione verso ora di cena, visto che claudia, la sua coinquilina in questa bella casa di campagna a sette chilometri da viterbo, aveva fatto un piatto di pasta anche per noi. a tavola c'era del vino, cioè non proprio a tavola ma in una tanichetta di plastica da 5 litri posata a terra accanto alla mia sedia. insomma mangi, chiacchieri, bevi, soprattutto bevi, e si fa piuttosto tardi e ti scopri piuttosto ubriaco. giampa' ma io mo' sai che faccio? mi butto sul divano, qui in soggiorno, e domani scendiamo direttamente insieme per l'appello, cetto lui', non ti preoccupare, mi dice lui, anche perché siamo solo con la macchina tua, gli ricordo, e non penso che te ne tiene di accompagnarmi fino alla città in queste condizioni, non ti preoccupare lui' dormi qua, tanto c'è camera di simonachenoncèmai (poverina 'sta ragazza, l'ho sempre sentita nominare così 'simonachenoncèmai', tutto attaccato). giampa' allora domani mattina sveglia alle otto, appello alle nove e speriamo di avere culo.

giampaolo la mattina dell'esame di linguistica generale, completamente dimentico di avermi ospitato la sera pirma, se ne è andato all'università e, non vedendomi arrivare, mi ha cercato ovunque per i corridoi della facoltà, sconvolto per il fatto che, dopo aver studiato con lui fino alla sera prima, non mi fossi più presentato all'appello, dove comunque lui ha sostenuto l'esame, conseguendo il risultato di 27/30 ('a ..... d''a mamma).

claudia, a proposito, ma io mo' come ci torno a viterbo?, eh, ti tocca aspettare che torna giampaolo oppure, se vuoi, ti presto la bicicletta, io ho solo quella. altrimenti posso chiamare vito, il mio ragazzo, e ti faccio venire a prendere da lui?, ehm no, mi sa che aspetto giampaolo, allora visto che è quasi ora di pranzo, che ne dici se ci cuciniamo qualcosa e magari ci finiamo il vino di ieri sera?, 'ste ragazze siciliane pensano semp' a magna', beh, tanto una volta perso l'appello sto in vacanza, finiamoci 'sto vino, ma che roba è? che non me lo ricordo proprio, est, est, est!

giovedì 21 aprile 2011

fare le cose con le mani

la capacità di guardarsi intorno con gli occhi della fantasia, e riuscire a immaginare cose che non esistono, sognare di farle nascere dalla materia che ci circonda, su cui camminiamo, che portiamo addosso, dalla quale cerchiamo riparo, questa dote semplice e naturale è una delle cose che mi affascina di più.

gli esseri umani lo sanno fare da quando sono esseri umani e forse quei pochi che ancora ci si dedicano, sono gli unici esseri umani originali rimasti.

in fondo, quando penso al lavoro in generale, mi viene in mente qualcuno che fa cose con le mani, che ne so, taglia, manipola, monta, insomma, qualcuno che definisce lo spazio intorno a sé.


l'esatto contrario


ué ma tu mica lo sai qual'è il contrario di premonizione?, e certo che lo so. aspetta un secondo che ci penso e te lo dico!, che poi io mi domando ma chi me lo fa fare di infilarmi in queste situazioni qui, sarebbe tutto più semplice se dicessi, guarda, non lo so proprio, e basta. invece mi fanno questa domanda qui, o magari me ne fanno un'altra, e io, al posto di levare mano subito, mi viene sempre da pensare che la risposta la so o magari ci posso arrivare. in pratica si tratta di presunzione (contr. 'umiltà') bella e buona, del fatto che uno pensa sempre di riuscire a svangarla e fare più bella figura così, piuttosto che tacendo con dignità (contr. 'volgarità').
che poi, se la vogliamo dire tutta, ma che domanda è mai questa? il contrario di premonizione? io neanche lo so che vuol dire premonizione! vabbe' questa è un po' un'esagerazione (contr. 'minimizzazione'), almeno a conoscere il significato delle parole, l'80% delle volte, c'arrivo.
alla fine il contrario (contr. 'sinonimo') di qualcosa è facile da trovare, basta prendere gli elementi compositivi e arrevotarli. certo, se non si fa attenzione al risultato invece di un contrario si finisce per dare vita a un paradosso (contr. 'ovvietà') ... mica male.

ps. premonizione (contr. 'constatazione')

mercoledì 9 marzo 2011

ascoltare musica con gli occhi


all'università, in una di quelle belle case dove solo agli studenti capita di andare ad abitare (o che solo agli studenti sembrano così belle, mah?), c'era questa musica che continuava a uscire dalla finestra del palazzo di fronte. roba classica, suonata per ore. veniva da una stanza arredata in stile moderno e un po' minimal, in cui spiccava una scala in muratura bianchissima dai gradini in legno di faggio e senza ringhiera, che probabilmente saliva verso un soppalco. l'edificio era uno di quei palazzoni di fine settecento con le cornici a stucco in stile neoclassico, quindi l'interno non ci azzeccava niente ma a me dava una bella sensazione.


a starsene lì, a studiare sul tavolo in veranda, si finiva facilmente per sbirciare dentro quella finestra così a portata di sguardo. dopo un po' mi sono abituato ai movimenti anonimi di quella stanza e ho cominciato a capire delle cose. la musica, ad esempio, non usciva mica tutti i giorni e a tutte le ore. la mattina quando le persiane erano accostate e il caldo estivo entrava meno, non capitava mai di sentirla, mentre, non ti sbagliavi, durante la settimana, al tramonto, il concerto ti accompagnava flebile almeno per un paio d'ore.


ci ho messo qualche mese per capire chi ci abitasse, chi si esercitasse tutti quei giorni, chi davanti a quella finestra facesse persino ginnastica, chi vi lasciasse in giro vestiti che davano l'idea di essere stati abbandonati lungo la difficile strada per il letto dei rientri alcoolici notturni. 


alla fine l'ho capito ma non mi sono presentato mai e mai ci ho parlato. ho sempre pensato mi interessasse maggiormente l'immagine che avevo costruito, piuttosto che la sua versione reale.