sabato 26 settembre 2009

ho solo 158 foto

vorrei passare un po’ di tempo a scrivere, questo vorrei fare, ma il social forum è iniziato e qui nella loro sede è difficile trovare la concentrazione giusta. persone che entrano e che escono, altre che semplicemente passano. tutte però si fermano al tavolo dove sono sistemato io, perché sopra c’è un piatto pieno d’uva a disposizione di chi ne vuole. l’uva qui è uva davvero, no come da noi. quando ero bambino l’uva era uva anche dalle nostre parti, perché veniva dalle viti e non dai banchi del supermercato. nei primi giorni d’autunno con mio fratello non facevamo altro che andarcene in giro per la vigna a rubare i grappoli migliori, quelli più maturi. i chicchi erano piccoli e tutti attaccati fitti fitti uno all’altro, il sapore, zuccherino ed aspro al tempo stesso, dopo un poco ti stordiva per quanto era concentrato. quando staccavi i grappoli dalla pianta, dovevi sempre fare attenzione a che non ci fosse qualche vespa pronta a pizzicarti perché gli avevi sconcecato il pasto e, a fine giornata, tornavi a casa immancabilmente col muso tutto appiccicato e gonfio per le punture. io quell’uva lì non l’avevo mai più vista e la ritrovo adesso.

mentre me la guardo affatato, indeciso se provarla oppure no, e fanculo a tutte le indicazioni sanitarie che si danno ai viaggiatori occidentali, quando si allontanano dal loro mondo di cellofan e lysoform, il trambusto intorno a me si fa ancora più intenso, al punto che sono proprio costretto a capire di che si tratta. corrono tutti più di prima, come se ci fosse un appuntamento che proprio non possono perdere e allora è meglio sbrigare in fretta le ultime faccende. tra gli altri passa una ragazza che conosco, cioè in realtà no. il fatto è che qui, dopo mezza volta che ti sei incrociato con qualcuno, allora lo conosci. al secondo cenno di saluto, non conta da che parte del mondo vieni e nemmeno se sei mai riuscito a scambiare qualche parola in una qualsiasi lingua comune, tutti ti si rivolgono chiamandoti my friend. secondo me un po’ deve essere perché vatti a ricordare il nome di tutti e un po’ perché è oggettivamente difficile pronunciare nomi il più delle volte incomprensibili, in lingue mai sentite prima. quindi my friend. insomma questa mia cara amica, visto che è almeno la terza volta che la vedo e ben la seconda che proviamo a rivolgerci la parola, passando mi dice che c’è una manifestazione delle madri della pace. ora, in realtà io non so se lei mi abbia detto proprio, my friend vedi che sto andando alla manifestazione delle madri della pace, vuoi venire pure tu?, anche perché lei parla solo tedesco e qualche parola di turco ed io conosco a malapena l’italiano e in inglese so dire my friend e poco altro. fatto sta che ho capito, ho spento il pc e mi sono organizzato per andarci anche io alla manifestazione delle madri della pace.

sono già per strada quando mi ricordo di chiedere a gulê, ma queste madri della pace che sono? e gulê mi dice che in kurdistan, da quasi vent'anni o forse più, sparisce la gente. la mattina esce di casa per andare a lavorare, ad esempio al centro culturale curdo, e poi non torna più, o magari è venuta la polizia ad arrestarla, perché è in politica con il partito curdo, e non l’hanno rilasciata mai più e, se uno va a chiedere al carcere, ti dicono che a loro non risulta che sia mai stata fermata, quindi fottiti, o ancora, gente che se ne è andata sulle montagne per lottare coi guerriglieri ma loro, i guerriglieri, a un certo punto non lo sanno più che fine ha fatto. e poi, dice gulê, sono passati gli anni, cinque anni, quindici anni, in certi casi addirittura vent’anni, e nessuno mai che si rifacesse vivo, che mandasse una cartolina a casa, che so, una telefonata. e qui ci sono le mamme, che come le vesti vesti e qualsiasi lingua gli fai parlare sono sempre mamme e non gliene frega un cazzo della repressione dello stato turco, della galera che ciclicamente si fanno, delle botte, delle torture e di tutte queste cose qui, che devono subire, loro vogliono solo sapere i figli e le figlie dove stanno, perché non sono più tornati. queste madri, che ora qui tutti chiamano le madri della pace, ogni sabato scendono in piazza e si portano appresso ognuna la propria foto, bella incorniciata, la staccano dalla parete del salotto, dove la tengono di solito il resto della settimana, e in piazza la agitano sopra la testa per farla vedere a tutti.

vabbe’ francesca mi ha raccontato tutto questo ed io ci credo, per carità, ma lei me ne parla come se fosse un’ecatombe e io penso, ma allora se fosse così grande questa cosa si sarebbe saputo, come per i desaparecidos, tutto il mondo ne avrebbe parlato e invece niente.
ecco, sto pensando proprio questa cosa qui quando mi compare davanti il corteo delle madri della pace. io non sono bravo a contare ma, a vedere tutta questa gente, mi capita di pensare due cose, una è che sono bellissime, tutte in abito tradizionale, tutte con una o due foto in mano, camminano fiere, si affollano una addosso all’altra, come i chicchi di quei bei grappoli d'uva che ho appena lasciato, senza toccarli, sul tavolo del msf, gridano slogan e cantano a squarciagola, saranno almeno 5.000 e queste sono solo quelle di diyarbakir, e l’altra, consequenziale, è che in questa manifestazione ci sono almeno 5.000 scomparsi presenti in immagine, 5.000 morti buttati in qualche fossa comune negli infiniti altopiani curdi, 5.000 prigionieri politici detenuti in carceri abusive di cui si sono perse le chiavi da tempo, 5.000 esseri umani di cui ancora si piange la mancanza, dei quali ancora non ci si rassegna alla scomparsa.

questo corteo, all’apparenza così festante e colorato, è in realtà un corteo di fantasmi.
io intanto penso che devo scattare foto, penso che devo trovare il coraggio di mettere la camera in faccia a queste persone, che sembrano allegre ma, se le guardi bene, hanno tutte gli occhi rossi, penso che la devo cacciare la faccia di cazzo stavolta, perché è troppo importante fissarli in immagini, così come li sto vedendo io in questo momento. penso tutto questo e in realtà, come prevedibile, non ho capito niente. non faccio neanche in tempo a scendere dal bus che mi ha portato fin qui e già la prima mamma mi si mette davanti e mi punta in faccia, lei a me, la foto di suo figlio. io, stordito, punto e scatto. dietro di lei ce n’è un'altra, e accanto un’altra ancora, punto e scatto, e mi sento battere a schiaffi sulla spalla, mi giro attonito e ce ne sono altre, potrebbero essere mie nonne, mie madri, mie sorelle, sono dappertutto intorno a me e mi tirano, mi chiedono di riprendere non loro ma le loro foto, le mettono davanti alla faccia, non per timidezza ma perché, si sa, i fotografi cercano le immagini toccanti, gli occhi delle mamme ed io in questo momento sono proprio uno di quei bastardi lì e loro allora mettono le foto davanti, come a dirmi, vuoi fotografarmi, allora fotografa anche l’immagine di mio figlio, guarda anche quanto era bella mia figlia. io punto e scatto, penso alla luce e scatto, penso alla messa a fuoco e scatto, io non posso dire di no, non posso dire di no a nessuno, il loro dolore ha la priorità su tutto adesso. voglio solo fare tutto quello che mi dicono ma non ci riesco, non riesco ad accontentarli tutti, io ho solo 158 foto, e loro sono 5.000 e si accalcano e mi premono e rimango incastrato e non ho vie di fuga, non le voglio nemmeno le vie fuga, ma come faccio a dirgli che da un po’ sto scattando a vuoto, come glie lo spiego che non ci sono più foto per loro.

mi tirano ancora ed io riesco solo a dire una delle poche cose che ho imparato in turco, tamam, va bene, accetto, continuo ad accettare fino a quando sento una mano che mi abbraccia e vedo questo ragazzo, che sembra un uomo ma avrà si e no la mia età, che si mette in mezzo e, anche se non lo capisco, so che dice lui alle madri della pace quello che io non avrei mai il coraggio di dire, dice che adesso basta, che mi stanno travolgendo, non lo vedono che non ce la faccio più.
mi trascina via e, solo quando non sono più nella folla, mi lascia con una pacca sulla spalla e mi dice, spas, che in curdo vuol dire grazie. è lui a dire grazie a me. sono fuori e non me ne frega niente. vorrei solo avere una macchina fotografica da 5.000 scatti, per tornare lì in mezzo e dire a tutte loro che non c’è problema, se anche mi acciaccano un po’, che tanto io una foto per ognuna di loro ce l’ho questa volta e che devono avere solo un po’ di pazienza.

2 commenti:

boccaccino ha detto...

secondo me dovevi dirgli la verità: mi dispiace moltissimo ma sono solito scattare in raw e questa macchinetta digitale, vista la risoluzione superiore ai 10 mpixel, produce dei files piuttosto grandi, parliamo di una decina di mb a immagine... a dirla tutta non avevo previsto che mi sarebbero servite più memorie SD oggi, le altre le ho piene e non ho ancora fatto in tempo a downloadare le immagnini vecchie sul mio laptop. la prossima volta porterò con me un hard disk autoalimentato con gli ingressi per le memorycard in modo da poterle liberare in tempo reale. e mi raccomando non vi avvicinate troppo perchè questo obiettivo ha una messa a fuoco minima di una trentina di centimetri (che poi mi farebbero anche comodo per respirare).

se ne dovrebbero fare una ragione...

(bravo lovig!)

eleonora ha detto...

lovig come dice mamma tu sei troppo buono...quasi fesso!!io dico solo fesso, però bravo!