domenica 17 maggio 2009

un peso sulla spalla

ci vado? non ci vado? sì, mi va di andarci. quindi ci vado.

il posto non lo conosco. è uno di quei paesi dove sarò passato centinaia di volte, senza essermici fermato mai veramente. guardo le case e lo spazio tra di loro davvero come se fosse la prima volta. la forma dei vicoli, delle piazze, la dimensione dei palazzi, le loro cadenti decorazioni in stucco mi danno la sensazione di un luogo che porta il peso di una certa importanza, ormai passata. è un po' come sarebbe trovarsi nella dimora di qualche vecchio nobile decaduto. l'aria sa di polvere.

lasciata l'auto m'incammino lungo una strada dritta e in salita. non ho fatto neanche dieci passi che incontro il primo bar. mi ci fiondo subito dentro. un martini, con ghiaccio o senza, senza grazie. la signora del bar sembra la mia vicina di casa di quando ero piccolo. se non fossimo nel bel mezzo del cemento di un paese, giurerei che dietro il bar c'ha un orticello che ha lasciato di zappettare apposta per venire a servire me. e nemmeno troppo volentieri. non devo stargli troppo simpatico con il mio orecchino, la macchina fotografica alla spalla, l'aria smagrita di uno di città attento, nel suo piccolo, a come si presenta. cazzo, a vedermi con i suoi occhi, così fuori contesto in questo bar, non sto simpatico neanche a me. quasi mi scuso quando mi faccio servire un secondo martini. poi, quando le chiedo come si arriva nel posto in cui sono diretto, lei si rilassa e dopo un po' mi sorride pure. butto giù, ringrazio, pago, due euri e quaranta per due martini, e me ne vado verso dove mi ha detto lei. lungo il tragitto incontro altri quattro baretti e tutti hanno l'aspetto di essere indecenti come il primo. non voglio arrivare sobrio, dove sto andando, ma mica posso fare tappa da tutti, quindi alterno, uno sì e uno no. quando arrivo al concerto, un po' barcollo, un po' sono rilassato. la serata si svolge all'interno di un bel chiostro, che proprio chiostro non è. si tratta più della corte interna di un palazzo vecchio almeno di qualche secolo, con tanto di porticato tutto intorno e un bel pozzo nel mezzo. ma se qui lo chiamano chiostro, chi sono io per dire altrimenti. il paese è del paesano, si sa.

le facciate interne, che abbracciano il palco dove intanto la musica è già cominciata, una volta erano ricoperte di stucchi. niente di trascendentale, doveva trattarsi di un motivo a conrici e losanghe. ora non c'è più e la muratura rimane vividamente a vista. questo effetto diruto mi piace. penso si tratti più di un repentino prosciugamento dei fondi per la ristrutturazione che di una consapevole scelta del progettista ma poco importa. tanto per me va bene così.

sono venuto qui per assistere ad un concerto e fare qualche foto. veramente sarebbe un po' più complicato di così. ecco, sono venuto per scattare foto mentre ascolto il concerto, in pratica per lasciare che le melodie ed i ritmi che sento e le luci ed i corpi che vedo si trasformino in qualche modo in immagini. la mia versione delle cose, anche se di solito la capisco solo dopo, quando rivedo quello che ne è uscito. stasera vorrei fare tutto questo. vorrei. ma a metà del concerto sono ancora fermo a due o tre scatti preliminari. il fatto è che le musiche, la cantante, una ragazza sottile e carina, a cui i capelli corti e le movenze un po' a scatti mascherano una voce complessa, che non ti aspetti, le composizioni che mi si formano in testa, osservando e sentendo, non sono proprio fatte per essere riprese, non da dove mi trovo, non con questa distanza. mi dovrei avvicinare, dovrei salire sul palco e girare tra i musicisti, seguire i loro sguardi, quando si agganciano per darsi il tempo, fissare le tammorre, i fiati, cercare i chiaroscuri. troppo difficile.

mi viene sete. lascio il chiostro nella convinzione che con qualche altro martini potrei trovare il modo di superare le distanze. d'accordo sono qui per il concerto e me ne vado sul più bello ma solo per poco. la mia incoerenza mi ha abituato a cose peggiori. torno all'ultimo bar, due martini, scusate ma voi siete solo, sì è per fare prima, tanto sempre due ne prendo, due euri e cinquanta, azz costate dieci centesimi in più della signora in fondo alla strada, giuvino' e allora vi faccio dieci centesimi di sconto, signo' grazie... io vi lascio dieci centesimi di mancia.

torno al chiostro ma mi sento solo un po' più brillo di prima. mi sa che mi arrendo. rimetto la macchina in spalla, sorta di peso inutile questa sera, e mi godo le ultime canzoni. sui bis mi diverto anche a guardare il pubblico, che intanto si è alzato e assiste ciondolante a passo di danza. prima ho visto qualcuno cantare, un po' ho cantato anche io. non vado pazzo per i riti collettivi ma ne comprendo la potenza. quando finisce, ci sono applausi e sorrisi e tutto sembra molto rilassato. piacevole. a questo punto è quasi ora di andare via anche per me ma prima sto pensando a una cosa, una cosa che non ne vuole sapere di lasciarmi in pace. devo proprio cercare di farla.

il gruppo è rimasto accanto al palco, un po' di amici, qualche saluto complimentoso, due chiacchiere. ci metto un po' per intrufolarmi, per trovare il momento giusto. vorrei proprio andare a salutare la ragazza che fino a poco fa mi stava incantando con la voce e, naturalmente, capito nel momento sbagliato. tra mille interruzioni e la mia situazione alcolica, credo di riuscire solo a farfugliare qualcosa sulla musica, sugli arrangiamenti, sul chiostro non chiostro. ma poi che glie ne fregherà mai a lei delle mie cavolate. basta. saluto e me ne vado.

il ritorno è tutto in discesa, fino alla macchina. nessuna tappa ai bar, se no a casa non ci torno stasera. parto a finestrini aperti, pronto a godermi la brezza, contemporaneamente morbida e gelida, di questa primavera e invece rimango subito imbottigliato nel traffico... ci sono momenti in cui le piccole cose si fanno pesanti. per ammazzare il tempo metto su un po' di musica. jazz ma di quello liscio liscio, un po' sa anche di nostlgia. quando, mezz'ora dopo, riesco a venire fuori dal paesotto e mi incammino sulla statale sono quasi sobrio e già mi inghiotte le nebbia delle solite cose.

alla fine non ho fatto nemmeno una foto degna di questo nome e nella confusione non ricordo di aver detto alla bella cantante quanto mi sia piaciuto starmene lì ad ascoltarla questa sera.

(non avendo prodotto nulla di osservabile, la foto è di un altro concerto, in un altro tempo.)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Tante parole scritte e una foto così non possono rimanere senza commenti...hai come sempre la capacità di trasmettere le tue sensazioni e farle rivivere a chi osserva e legge. Paola