domenica 25 aprile 2010

liberazione

'a uerra è 'na schifezza. lo diceva mio nonno.

io questo nonno qui non l'ho mai conosciuto, è morto un poco prima che nascessi ma conservo da qualche parte le sue medaglie e so che parlava con cognizione di causa. a giudicare dalle patacche che gli hanno dato, infatti, e facendo due rapidi calcoli, ho capito che è stato in libia nel 1911, per la conquista della quarta sponda, e poi in trincea per tutta la durata della grande guerra, dal 1915 fino al 1918. alla fine è tornato, con una serie di croci di metallo e pure tutto intero. mi hanno raccontato però che il nonno era un omino tranquillo e cordiale ma sempre un po' lontano con la testa, come se le faccende di tutti i giorni fossero distrazioni e quello che gli girava dentro, e che sapeva solo lui, invece fosse veramente importante. secondo me sto fatto, con gli anni di atrocità praticate e subite in guerra, doveva entrarci.

cosa pensasse mio nonno della guerra me l'hanno detto una volta che ero dal barbiere. avevo 11 o 12 anni e ogni mese mia madre, andando da maria, la parrucchiera che stava di bottega proprio affianco, mi lasciava da angelo, il barbiere appunto. quel posto mi metteva un po' in soggezione, era tutto moderno e pieno di spigoli pittati di nero e di bianco, anche dove non si capiva perché ce li avessero messi. tutte le volte che ci andavo, dentro trovavo il padre di angelo, un vecchiaccio vestito male e coi capelli e la barba trascurati che però mi sorrideva e mi salutava sempre, a dispetto del fatto che la differenza di età imponesse l'esatto contrario. era vedovo da un sacco di anni e non è che avesse tutti questi soldi, per cui certe cose se le doveva fare da solo. è per questo che era sempre un po' trasandato. però il fatto della barba e dei capelli, considerato che passava le giornate nella bottega del figlio barbiere, veramente non me la sono mai riuscita a spiegare.

fu proprio questo signore qui, una volta, a dirmi che lui sapeva chi ero, che ero figlio di antonio il dottore, buonanima, che a sua volta era figlio di luigi, dio lo abbia in gloria, ed io portavo quel nome proprio perché lo avevo preso dal nonno. lo guardai senza dire niente ma si doveva capire che stavo pensando che era rincoglionito. avevo 12 anni, mica 2, lo sapevo benissimo che portavo il nome di mio nonno. lo so che lo sai perché ti chiami così, aggiunse lui a quel punto, quello che non puoi sapere però è che per me tuo nonno era una persona veramente importante, pace all'anima sua, perché una volta mi ha salvato la vita. doveva essere uno molto religioso il padre di angelo il barbiere.

e se ne venne con questa storia incredibile di lui ed altri tre o quattro ragazzotti del paese che, nell'ottobre del '43, erano stati beccati dai tedeschi. a fare cosa? niente, naturalmente. i crucchi si erano messi di base poco più giù, verso contrada iannassi, e siccome erano giorni che giravano a vuoto per tutte le masserie e non trovavano da mangiare, avevano deciso che era arrivato il momento di far capire a questi zotici, piccoli e neri, di italiani chi comandava. di conseguenza, rastrellamento e fucilazione, addò coglio coglio. sti poveri sciagurati erano stati portati sull'aia dei genito, a meno di cinquecento metri da casa mia, e lì era cominciata una macabra trattativa tra tedeschi e cafoni. dateci le cose da mangiare che tenete nascoste chissà dove, dicevano i primi, ma noi ci puzziamo di fame e non abbiamo niente di niente, rispondevano disperati gli altri, nein, siete belli paffuti, non sembrate morti di fame, cacciate la roba se no per questi poveri sciagurati, kaputt, ma quale roba, quale paffuti, che c'abbiamo le costole che ci escono da fuori. insomma, le cose si stavano mettendo davvero male.

capita allora che, al sicuro nella loro masseria, i fonzo che sono abbastanza vicini da seguire tutto, compresa la mala parata, decidono di correre a cercare aiuto. e sulla nazionale, proprio davanti casa loro, sta passando in quel momento mio padre, il quale se ne usciva a fare un giro con la giumenta. il giovane antonio, imboscato di guerra, a sentire quello che sta accadendo, pensa proprio che non è cosa di andarsi ad affacciare e se ne torna a casa a briglia sciolta. è così che mio nonno viene a conto della faccenda e, vai a sapere perché, decide di andarci lui dai genito, a vedere se si poteva trovare una soluzione.

quello che succede nell'incontro tra il nonno e il caporale del drappello nazista, il padre del barbiere non me lo sa spiegare con precisione, lui era troppo impegnato a piangere come un vitello, mi dice, si ricorda solo il nonno che gridava e che non si metteva paura, neanche dell'arma che, a intervalli regolari, il crucco gli puntava in faccia. il vecchio proprio non lo sa come fu ma alla fine i tedeschi se ne andarono e li lasciarono lì e il caporale, a lui almeno parse così, mentre partivano con la camionetta, fece pure una sorta di cenno di saluto.

il padre di angelo non se lo ricorda meglio di così cosa successe ma una cosa gli è rimasta impressa. quando mio nonno giunse sul posto, coi tedeschi che, a vederselo arrivare tutto trafelato, che gridava e faceva segni con le mani, per attirare l'attenzione, tirarono tutti su i mitra e si misero a gridare pure loro e forse stavano pure per sparargli, insomma, quando nonno luigi gli fu a pochi passi, si guardò intorno, allargò le braccia platealmente, le lasciò cadere di nuovo lungo i fianchi e poi, con una faccia sinceramente dispiaciuta, disse, 'a uerra è 'na schifezza.

2 commenti:

Unknown ha detto...

Ma guarda te 'sti nonni...
Quello mio, quello materno, raccontava di essere stato a un pelo dalla fucilazione, che i nazisti avevano deciso di ammazzare i posti pari in una fila e che il sergente che li doveva contare aveva sbagliato e fucilato quello affianco!
Col senno di poi, a me mi lascia un po' perplesso 'sta storia, ma era bello sentirsela raccontare. Un racconto è spesso come un viaggio, inizio e fine possono non contare molto, quello che conta è viaggiare, e spesso è importante la buona compagnia ;-)

Luigi ha detto...

no, no... lascia sta' che per viaggiare bene la cosa davvero importante so' le scarpe...