domenica 18 aprile 2010

thòlos

precettato in pieno inverno per uno scavo archeologico d'emergenza. io me lo ricordo bene di aver detto di no, ricordo proprio le parole, non se ne parla, ho detto così, quindi non mi spiego come cazzo è che adesso sono sul pavimento di una tomba a camera, calato con una scala a corda da una voragine nel soffitto, tre metri più su. per vederci qualcosa, a circa metà scala, è stata attaccata una lampadina, dentro è tutto umido ma ci saranno almeno tre gradi in più rispetto all'esterno. i vantaggi delle pietre tufacee, fresche d'estate e calde d'inverno. quante volte l'avrete sentita sta cazzata? invece non è vero niente, qui la temperatura è costante tutto l'anno, è fuori che cambia.

intanto che scavo, mi infradicio il pantalone sulle ginocchia e comincio a non sentire più le dita delle mani per il freddo. farei volentieri due chiacchiere con qualcuno ma qui sotto non c'è nessuno e fuori c'è solo vincent.

vincent è un tipo roscio e grosso, che secondo me quando era piccolo gli facevano fare obelix alla recita della scuola. insomma non è che abbia proprio lo sguardo intelligente, vincent, poi è uno poco loquace e se ci mettete anche che è francese... non so se vi ho detto del mio problema con il francese. in pratica, il mio problema con il francese, come idioma intendo, è che non lo so.

nemmeno vincent sa l'italiano ma in fondo a lui che glie ne frega, lui sta in piedi nel caldo del suo piumino a fumare sigarette e quando io lo chiamo, vincent, dico, lui deve solo prendere la corda della carrucola e tirare su il secchio. che poi proprio un secchio non è. è una sorta di mezzo bidone metallico con un manico a cui è attaccata la fune. da pieno peserà una quarantina di chili, roba che solo uno ben piazzato come il francese può tirarlo su. e ci si deve pure mettere d'impegno.

infatti, un paio di volte è capitato che io lo abbia chiamato un po' troppo in fretta, vincent, ho detto, e poi non ho fatto in tempo ad agganciare il bidone che lui già era partito con il primo strattone, volando letteralmente a zampe all'aria. o almeno io lo immagino così, che da qui giù si è sentito solo una sorta di grido strozzato, un gran tonfo e poi vincent che parlava di mare. deve venire da una famiglia di pescatori o qualcosa così, vincent, perché ogni tanto se ne esce con sto mare di qua, mare di la o qualcosa così, sta tutto il tempo a dirlo.

secondo me si è convinto che io lo faccia apposta, tanto per ridere alle sue spalle, ma io non mi permetterei mai, cioè, a ridere rido ma mica sarei così meschino da farlo volare a terra ogni due per tre soltanto per passare il tempo. vabbe' forse lo farei ma a lui è meglio che non glie lo dico.

mentre faccio per raschiare via un'altra zolla di terra dalla parete, con la trowel, che poi sarebbe semplicemente una cazzuola piccolissima ma, se la chiami trowel, fa più indiana jones, insomma si comincia a vedere una sorta di incisione nel tufo. ci lavoro un po' vicino e capisco che si tratta di una scritta. quando, pochi minuti dopo, è tutta pulita, sono lì col cuore in gola, ansioso di decifrarla e già mi sento un novello champollion, quello che capì cosa cavolo volessero dire quei mammozietti nei geroglifici. in effetti pure lui era francese e sicuramente manco lui parlava l'italiano, vabbe' ma erano altri tempi.

a vederlo da vicino questo graffito non è che sia fatto proprio bene, si legge lo stesso ma sopra c'è scritta una cosa che non so come interpretare. c'è scritto, napoleone 1809. e che c'azzecca mo napoleone in una tomba etrusca? sembra come quando uno passa da qualche parte e, per ricordo, ci lascia la firma. come se io adesso mi mettessi a scriverci, luigi 1997, e chi cazzo se ne frega che io sono stato qui, certo magari di napoleone però qualcuno se ne frega. magari il mio amico in superficie sarebbe contento di vederla questa cosa qui. vincent, faccio, e poi mi ricordo con un istante di ritardo della faccenda della carrucola.

troppo tardi, quando riesco a dire qualcosa, che poi lui non capirebbe perché tanto è in italiano, sta già parlando di mare un'altra volta. quando si affaccia minaccioso dall'apertura, io gli faccio cenno di venire giù e vorrei spiegargli perché, ma mi viene in mente solo di dirgli, champollion, champollion, che a giudicare da come l'obeso salta sulla scaletta di corda, deve aver pensato che gli sto insultando la mamma. il fatto è che lui è talmente pesante e su quella scaletta ci si è gettato così tanto a peso morto che l'appiglio a cui l'avevamo fissata in superficie cede immediatamente e vincent viene giù come una montagna in frana, toccando terra a pochi centimetri da me.

sinceramente la cosa, a ripensarci, è anche ridicola ma lui, se non è morto nella caduta, di sicuro appena si riprende ammazza me e questa cosa qui mi fa passare la voglia di ridere. quando una decina di secondi dopo ricomincia a muoversi, sempre parlando di mare, io già sono in ginocchio, ad occhi chiusi, che gli indico il graffito, riponendo in questa cosa tutte le mie speranze di salvezza. il gigante si mette seduto ma non sembra imbestialito come sarei io al posto suo, no. anzi si ferma a guardare e questo mi conforta un po'. fa la faccia a punto interrogativo, si vede che nemmeno lui se la sa spiegare questa cosa qui che napoleone è venuto a mettere un autografo nella tomba etrusca. poi si avvicina, prende la cazzuola, lui è francese e quindi cazzuola gli suona più esotico, e si mette a pulire meglio intorno. salta fuori che davanti alla parola napoleone ci sta scritta un'altra cosa. la frase completa è, viva napoleone, 1809. vincent ridacchia un po' e, per la prima volta da quando ci conosciamo, si rivolge a me con frasi di senso compiuto, almeno credo, visto che lo ha fatto in francese e quindi chi lo sa.

si guarda intorno e vede la scala accartocciata accanto a lui. siamo bloccati qui dentro, almeno fino a quando tra un'oretta, a fine turno, ci verranno a prendere e ci aiuteranno ad uscire. a un certo punto vincent infila una mano dentro la giacca e ne esce fuori una di quelle fiaschette metalliche da alcolizzato, come si vedono nei vecchi western, la apre e me ne offre, cognac, mi fa. ora a me il cognac piace e in quella situazione, non sapete quanto ci stava bene un po' di alcool in corpo, ma, con tutto quello che gli ho combinato a questo qui, se prima non lo assaggia lui , col cavolo che mi ci vede bere. ma vincet in fondo è un buono, capisce le mie perplessità e ridendo si tracanna un lungo sorso in solitudine, vacci piano vincent, gli dico, che tu ci sarai sicuramente caduto dentro da piccolo, non hai capito, eh, vincent? poco male, anzi sta cosa che non parli e non capisci nemmeno è proprio rilassante. mi sa che la pensi pure tu così.

memorabile quella volta in cui rimasi prigioniero in una tomba etrusca a bagnarmi il culo sulla terra umida, sorseggiando ottimo cognac in compagnia di una colosso francese, con davanti agli occhi un muro crepato con su inciso, viva napoleone 1809.

e se qualcuno si sta domandando quale sia la morale, beh, è semplice, non andare mai in un posto dove non puoi procurarti da bere. non si sa mai quanto possa rendersi necessario un buon cicchetto.

2 commenti:

LaMerca ha detto...

..ok per la prossima visita ai sotterranei vitulanesi provvederò a portarmi dietro "un buon cicchetto".

Unknown ha detto...

Geniale la citazione della barzelletta "mèr de quà e mèr de là"!
In generale, mi sono accartocciato dalle risate e, considerando che ho letto l'episodio al lavoro, adesso i miei colleghi hanno la certezza che sono matto.