hasan è un prigioniero arabo. lo hanno preso i turchi non lontano dalla rocca, stava cercando una breccia o qualche via di accesso praticabile per riuscire nella conquista di questa imprendibile città insieme ad altri suoi compari. certo la sua non è una situazione facile, è un soldato che è stato catturato dal nemico non sul campo di battaglia ma mentre tentava un attacco a sorpresa, e questa cosa qui non è proprio ben vista. si è beccato l’accusa di essere un attentatore alla sicurezza della città, cosa indiscutibilmente vera, e anche quella di essere una specie di terrorista dell’epoca, certa propaganda insomma non ce la siamo inventata noi adesso. risultato, condanna a morte sicura. cazzo, hasan a tutto pensava, quando è partito da damasco al seguito del suo sultano, ai bottini, alle avventure, alle donne, magari anche a una morte onorevole, ma di fare la fine del topo, strangolato in una cella umida scavata nella solida roccia, questo proprio non può mandarlo giù. i turchi poi sono gente sbrigativa, efficiente, ieri ti hanno catturato, oggi ti condannano a morte e puoi stare sicuro che entro il tramonto di domani il tuo corpo sarà appeso a una fune fuori dallo strapiombo a farsi mangiare dalle cornacchie. così, pensano loro, se altri volessero riprovarci sapranno cosa li attende, niente nuda terra, niente paradiso con le vergini, solo cornacchie. e ad hasan, questa cosa delle cornacchie proprio non gli piace.
al mattino seguente, poco dopo l’alba, vengono due guardie a buttarlo giù dal paglione, vogliono portarlo sul bastione della cittadella, perché dicono che devono fargli vedere una cosa. mamma mia quella mattina il povero hasan che brutto quarto d’ora che passa, gli tremano così tanto le ginocchia che nemmeno ci riesce a camminare e i due giannizzeri devono portarlo a braccia. intanto hasan è lì che pensa, passi per l’efficienza ma qui si esagera, io avevo creduto sarebbe successo al tramonto, tipo mentre mi portavano la ciotola con l’ultimo pasto, la guardia mi avrebbe preso alle spalle e mi avrebbe fatto uscire gli occhi dalle orbite, strangolandomi così, senza quasi farmene accorgere. e invece dove mi portano, cos’è che vogliono farmi adesso sulla cittadella, stai a vedere che hanno deciso di impiccarmi direttamente dal bastione, mi legano una fune intorno al collo e mi buttano venti metri più sotto, dove per il contraccolpo la cervicale si spezzerà e la testa resterà ancora viva per qualche secondo a guardare quello che una volta era stato il mio corpo penzolare un buon metro più in basso, attaccato solo per la pelle ormai. ma i turchi, che quella mattina si vede che non c’hanno proprio niente di meglio da fare, in realtà vogliono solo fargli vedere dove appenderanno il suo corpo, fargli fare conoscenza con le cornacchie che se lo spolperanno, divertirsi un po’ con lui insomma, e dopo pochi minuti lo riportano indietro. tornato in cella hasan pensa due cose, la prima è che si è pisciato nei pantaloni e la seconda è che le cornacchie gli stanno proprio sul cazzo.
quando è partito, suo padre ahmed glie lo ha detto non si sa quante volte, prima di lasciarlo andare via, tieni sempre la testa sulle spalle, tieni sempre la testa sulle spalle, e lui scemo non l’aveva certo interpretata in senso letterale. ah, è proprio vero che quando si raggiunge quell’età in cui il momento di andarsene è più vicino di quello in cui si è arrivati, spesso si riconosce che i nostri vecchi ci hanno donato, attraverso le loro parole, la via per giungere al volere di allah, che sempre veglia su di noi. e anche questa è un’altra cosa che succede, quando si sta più di là che di qua, pensa hasan, si diventa molto molto più religiosi. e proprio mentre se ne sta lì a cercare di ricordarsi almeno qualcuno dei novantanove nomi di allah, tanto per sgranare qualche buon rosario con le catene che lo tengono prigioniero e tirare un po’ su il suo credito presso il misericordioso, hasan viene colpito, fulminato quasi da quanto è vero quello che ha appena pensato, cioè che nelle parole di suo padre si compie il volere di allah. aspe’ come gli disse di preciso il vecchio ahmed quando lo salutò, no, non la cosa delle testa sulle spalle, cosa disse subito prima, quel buon vecchino che, nella sua infinita bontà, allah non permetterà mai che sopravviva al proprio figlio e, siccome ancora non è il momento di ahmed, allora l’onnipresente sarà d’accordo che non può essere nemmeno quello di hasan, come cazzo disse ahmed. ah, ecco, erano nella stalla, lui stava per sellare il suo solito baio berbero, sheraz, quando ahmed gli disse, no, prendi zehir, il mio stallone arabo, il tuo è un buon cavallo ma senza sorprese, sia nel bene che nel male. quando si va in guerra, alle volte serve di poter volare. aveva detto proprio così suo padre, alle volte serve di poter volare.
è passata da poco l’ora della preghiera del mezzodì, quando hasan si mette a fare voci in cella. i suoi compagni di sventura, dalle gabbie accanto, pensano che il poveretto deve essere impazzito ora che sa di dover morire. adesso si è messo a sbraitare che i turchi non si stanno comportando come uomini, che va bene condannare a morte uno come lui e che ammette anche di essersela meritata la sua fine, ma non si è mai visto che a un condannato non si conceda almeno l’ultimo desiderio. gli altri prigionieri sono lì a pensare che adesso al povero hasan, invece di ammazzarlo e basta, verranno a spezzargli le gambe e le braccia e, se non la smetterà di gridare, gli taglieranno anche la lingua e gli faranno esplodere gli occhi con un ferro arroventato e poi lo strangoleranno lo stesso, naturalmente. in effetti anche hasan è preoccupato che finisca così ma, se vuole mettere in opera il suo piano, allora non ha scelta. quando la porta della cella si apre e gli si para davanti uno dei giannizzeri che la mattina si è divertito con lui, hasan pensa che le cose stanno andando proprio come ha calcolato. il colosso con la faccia da mulo coi baffi, quando entra, fatica a tenere le risa che gli scoppiano, pensa di avere davanti il classico esempio di meschinità araba, uno che di fronte alla morte si piscia sotto e che adesso farebbe di tutto per tentare di ingraziarsi i suoi aguzzini, magari anche vendere i suoi compagni, e vuole proprio vedere fino a che punto questo arabo piccolo piccolo vuole arrivare. così gli chiede quale sarebbe questo ultimo desiderio ed hasan, pronto, gli dice che vorrebbe per l’ultima volta cavalcare il suo bel destriero, cui è tanto affezionato, che gli è stato sequestrato quando lo hanno preso. naturalmente lo sa, dice hasan, che non lo lasceranno mai andare a farsi un giro a cavallo ma lui si accontenterebbe di montare il suo zehir anche solo per poco, anche nel punto più alto e sicuro della rocca, anche sul bastione, sì. la guardia si allontana ragliando e torna subito dopo con una risposta affermativa. i grandi turchi sanno essere misericordiosi come insegna allah e concedono ad hasan di fare un ultimo giro sul suo cavallo, in cima al bastione. in cambio quando scenderà da cavallo lui sarà così gentile da rivelare loro il luogo dell’accampamento del suo sultano.
mentre monta zehir e lo porta al trotto in una sorta di piccolo giro sulla punta più alta della rocca, proprio sopra lo strapiombo creato dal passaggio del fiume tirgi, mentre guarda con piacere il fiume insolitamente ingrossato per la stagione, hasan pensa a quello che deve fare, pensa che anche volendo non ha altra scelta e comunque è meglio finire così che asfissiato dalle mani di un turco. pensa a tutto questo, hasan, e a suo padre ahmed che prega per lui, e ad allah, che sia fatto il suo volere. pensa poi alle forti zampe di zehir, quando lo lancia a tutta briglia verso il parapetto del bastione e lo spinge al salto più lungo che un cavallo abbia mai fatto, per cento metri giù nella gola fino a schiantarsi, ad esplodere letteralmente al contatto con l’acqua. del povero cavallo non rimangono che i finimenti e le costole fracassate ma il suo padrone è in acqua, ancora vivo. il colpo è stato tremendo ed hasan ricorda solo di aver visto per un istante il suo cavallo volare in mezzo alle cornacchie, una volta tanto prese alla sprovvista. la corrente già lo trascina via e passerà un bel pezzo prima che riesca a toccare terra, con le ossa rotte, fradicio, ma per volere di allah tutto intero.
e come un colpo di cannone l’incredibile fuga di hasan fa il giro di tutta la città e arriva anche alle celle della galera, dove i suoi compagni increduli si chiedono, hasan, keif?, hasan, come?
ora, ammetto che possa sembrare proprio una di quelle cose inverosimili che mi invento io di solito ma questa volta, a parte l’aggiunta di qualche piccolo irrilevante particolare, la storia è né più né meno che l’autentica leggenda sull’origine del nome hasankeif.
2 commenti:
mi chiedo, a questo punto, quale sia l'origine del nome Mastromarino
Molto ben fatto, bro, complimenti! Luciano
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