nell'estate del 1989 i tedeschi della ddr cominciano ad eludere in massa i ferrei controlli della polizia politica. le cose vanno più o meno così.
nei circoli degli scacchi dei paesi d'oltrecortina ormai si parla a mezza bocca di quello che sta capitando in russia: gorbačëv, perestrojka, glasnost. può mai essere? tutti cominciano ad assaporare questa cosa nuova al gusto di libertà e nessuno ha ancora il coraggio di crederci veramente. tutti tranne che nella ddr. avete presente quando si sente dire "più realisti del re"? ecco, la deutsche demokratische republik è proprio quel caso lì. bei tempi, pensano i caposezione della stasi, quando si trattava solo di censurare i flussi di informazioni che arrivavano dall'ovest. certo non è che fosse facile e non sempre ci si riusciva ma almeno il nemico era lì e si sapeva chi fosse: l'ingordo plutocrate capitalista o, al massimo, qualche laido traditore del socialismo reale. adesso non ci si capisce più niente, non si sa da che parte guardare.
passano mesi ma in realtà è come se fosse un attimo.
luglio-agosto: i controlli davanti alle ambasciate della bundesrepublik in ungheria, polonia e cecoslovacchia si fanno di colpo più lenti, così una gran massa di tedeschi orientali si riversa in questi paesi, gli unici verso i quali si possa espatriare, per chiedere asilo politico all'ovest.
settembre-ottobre: l'ungheria apre i confini con l'austria. adesso, attraverso queste due nazioni, è possibile addirittura andarci direttamente in germania ovest.
è un'emorragia. nella ddr la gente comincia a parlare, a lamentarsi alla luce del giorno, perfino a scendere in strada. e dopo due settimane di disordini, il 9 novembre, viene emanata una nuova normativa in materia di viaggi all'estero, che consente di fatto l'attraversamento del confine tra le due germanie.
quella sera, a berlino, una folla rumorosa si accalca a poche decine di metri ad est del muro. aspettano che i soldati schierati a guardia si ritirino. in lontananza si sentono i cori di una moltitudine di tedeschi occidentali che, dall'altra parte, fa più meno la stessa cosa. aspetta ma senza soldati. ad un certo punto l'ordine arriva e i militari se ne vanno.
prima con discrezione, poi sempre più voracemente, i tedeschi, che a questo punto non hanno più bisogno di epiteti, travolgono il muro e cominciano a fare festa.
quando, all'alba del 10 novembre, un omino non troppo alto, con pochi capelli bianchi in testa e un paio di occhiali da vista di quelli un po' fumé, che con il suo cardigan turchese sotto una semplice giacca di lana blu può sembrare un impiegato del catasto, fa qualche passo dentro berlino est e si sistema poco oltre la parte occidentale, tutta colorata, del muro con una sedia pieghevole ed una custodia per violoncello, sono in pochi a notarlo, ancor meno a riconoscerlo e a fermarsi. lui apre la custodia, si accomoda, prova l'accordatura dello strumento e, senza badare al trambusto che lo circonda, attacca a suonare.
mstislav rostropovič, russo, dissidente, esiliato dal suo paese, semplicemente il più grande violoncellista di tutti i tempi, esegue alcune suite di bach, tutte in tonalità maggiore, perché quel giorno è particolarmente felice.
nonstante la gran folla che a un certo punto gli si crea intorno, tutti stanno in silenzio, ammaliati. l'unico rumore che accompagna, quasi a tempo, slava (così lo chiamano da quando era ragazzo, parola che, oltre ad essere il diminutivo del suo nome, in russo vuol dire "gloria") è il click delle macchine fotografiche che racconteranno questa storia.
1 commento:
che bella storia bro!!!
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