
lei era bellissima ed agile. con gesti elettrici e precisi rimetteva a posto quello che io avevo sconcecato durante la notte.
era piacevole cominciare le giornate guardandola vivere, come se io non ci fossi. la osservavo attento mentre si lavava, con i capelli raccolti sulla nuca, quando sceglieva che vestiti mettere, svanita per metà in un armadio parallelepipedo e sgangherato, le sbirciavo i piedi, nudi e aggrappati al pavimento solo con le punte.
poi si faceva colazione insieme e subito le sue mani si trasformavano in calamite per gli occhi. mi godevo tutti quei movimenti frettolosi, di una che è abituata a fare le cose in poco tempo, tra caffettiera bollente e latte freddo e niente zucchero, per carità. alla fine scappava all'università ed io, mentre usciva, le guardavo anche un po' il culo.
a rimanere solo in una casa che non è la tua, anzi che non è di nessuno, ci si sente fuori luogo quasi subito. così, poco dopo averla vista svanire da uno scorcio del balcone, calavo nei vicoli e mi mettevo a girare, chiudevo un occhio ogni tanto e mi facevo guidare dalla luce che sbatteva in giro un po' a casaccio. scattavo. era bello andare a bere un cicchetto fuori orario, che lì facevano un vino da sentirsi la bocca come punta dalle vespe già dopo il primo sorso.
quando era ora, smettevo di perdermi e me ne andavo al mercato, un posto dove potevi passare sempre. se ti veniva voglia di assaggiare una fragola da una bancarella, il tizio che ci stava dietro te ne offriva un'altra, per invogliarti a comprare da lui.
da quel mercato tornavo sempre carico di cose fresche e squisite. qualche volta cucinavo, qualche altra aspettavo che lei rientrasse, e basta così, per farmi trovare che dormivo ancora. cavolo, fuori c'è il mondo e tu dormi?, ma come fai?, diceva lei, con un sorriso elegante sul muso. io non rispondevo, però, perché stavo dormendo. ma non era vero. è che volevo guardarla ancora, con un occhio solo.